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La Fed Divisa: Inflazione, Occupazione e il Futuro dei Tassi d’Interesse

  • Immagine del redattore: Filippo Sala
    Filippo Sala
  • 23 set
  • Tempo di lettura: 2 min

Nel panorama economico post-pandemia, la Federal Reserve continua a navigare tra il duplice mandato di controllo dell'inflazione e sostegno all'occupazione, con la recente riduzione dei tassi di interesse il 17 settembre 2025 che ha segnato un punto di svolta dopo un periodo di stretta monetaria.


Le dichiarazioni rilasciate tra il 22 e il 23 settembre da Beth Hammack, Stephen Miran e Thomas Barkin rivelano un mosaico di prospettive che riflettono le incertezze attuali.

Hammack, in un discorso al Fed Talk event della Cleveland Fed, ha ribadito la sua preoccupazione per l'inflazione persistente, affermando: "Dobbiamo essere molto cauti nel rimuovere la restrizione di policy", e notando che la disoccupazione al 4.3% è "vicina alla piena occupazione" ma con segnali di fragilità nei segmenti a basso reddito, dove i licenziamenti rimangono stabili ma vulnerabili. Ha anche espresso una stima elevata del tasso neutrale, suggerendo che l'attuale policy è solo "modestamente restrittiva", e avvertito che un allentamento prematuro potrebbe far "continuare a salire l'inflazione". Questo tono hawkish allinea Hammack con una fazione che prioritizza la lotta all'inflazione, supportata da dati recenti che mostrano un CPI core ancora sopra il 3%.


Al contrario, Stephen Miran, in un discorso all'Economic Club of New York intitolato "Nonmonetary Forces and Appropriate Monetary Policy", ha difeso una posizione più dovish, dissentendo dalle proiezioni medie della Fed e sostenendo che la policy è "molto restrittiva" con tassi a breve termine circa 200 punti base sopra il livello appropriato. Miran ha argomentato che fattori non monetari come tariffe doganali, restrizioni all'immigrazione e politiche fiscali hanno abbassato il tasso neutrale di 1-2 punti percentuali rispetto alle stime di mercato, posizionandolo intorno al 2.5-3%.

Ha previsto un miglioramento della crescita economica nella seconda metà del 2025 e inizio 2026, ma avvertito che mantenere tassi elevati rischia di "causare disoccupazione inutile" e violare il mandato occupazionale della Fed. Le sue views, influenzate dal background in era Trump, hanno suscitato dibattiti su potenziali conflitti di interesse, con alcuni senatori democratici che criticano il suo doppio ruolo tra Fed e Casa Bianca.


Thomas Barkin, parlando virtualmente alla Howard County Chamber of Commerce, ha offerto un'analisi equilibrata, osservando un "calo costante delle pressioni salariali" e un mercato del lavoro caratterizzato da "low-hiring, low-firing" che potrebbe "cambiare direzione".

Ha espresso ottimismo sull'aumento della fiducia delle imprese, supportato da consumi robusti grazie a bassa disoccupazione, salari reali in crescita e performance forti delle borse. Tuttavia, Barkin ha riconosciuto che le tariffe doganali tendono a essere "passate ai consumatori", potenzialmente alimentando inflazione, e che la crescita della forza lavoro quest'anno sarà "vicina allo zero". Ha descritto l'economia come in una fase di "nebbia che si dirada", con aziende caute negli investimenti ma con segnali positivi di resilienza.


Queste divergenze interne alla Fed (con Hammack che spinge per mantenere la restrizione, Miran minoritario nel suo approccio morbido e Barkin che segnala solidità ma rischi) suggeriscono che non ci saranno tagli imminenti ai tassi finché l'inflazione non si avvicinerà stabilmente al target.

Complessivamente, il takeaway è che la Fed rimane vigile, con proiezioni che indicano possibili ulteriori aggiustamenti se i dati sull'occupazione dovessero deteriorarsi.

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