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Fed prudente ma accomodante: il taglio spinge gli indici, rischio di rally forzato

  • Immagine del redattore: Filippo Sala
    Filippo Sala
  • 19 set
  • Tempo di lettura: 4 min

Di Filippo Sala

La Federal Reserve ha deciso ieri di ridurre i tassi di interesse di un quarto di punto percentuale, portando il range di riferimento al 4,00%-4,25%. Si tratta del primo taglio dei tassi del 2025. Il comunicato e le dichiarazioni successive di Jerome Powell hanno sottolineato come questo intervento moderato sia un compromesso: da un lato si cerca di sostenere l’economia in rallentamento, dall’altro si resta prudenti per non alimentare troppo l’inflazione, che rimane ben al di sopra del target del 2%. Powell ha definito il taglio di ieri una “misura di gestione del rischio”, dovuta al progressivo indebolimento del mercato del lavoro, ma ha ribadito che non c’era alcuna urgenza di agire con decisione rapida sui tassi. Durante la conferenza stampa ha anche sottolineato che le pressioni da parte di Trump non hanno influito e non influiranno sulle decisioni della Federal Reserve. Gli operatori attualmente scommettono ancora su ulteriori riduzioni del costo del denaro nei prossimi mesi. I futures sui Fed Funds prezzano oggi oltre il 90% di probabilità di un nuovo taglio già alla riunione di ottobre, e complessivamente circa due ulteriori riduzioni entro fine 2025.


Al convegno stampa dopo il meeting, Powell ha confermato che potrebbero seguire altri tagli a ottobre e dicembre, attenuando però le aspettative di manovre troppo aggressive. Ha ricordato che non esistono percorsi privi di rischi: da un lato bisogna prestare attenzione all’inflazione che a detta sua “non possiamo ignorarla” mentre dall’altro non si possono trascurare i segni di cedimento del mercato del lavoro. L’economia statunitense mostra indicatori ancora solidi, ma la Fed procede con prudenza, decidendo incontro per incontro in base ai dati che arrivano.


Divisioni interne alla Fed e dot plot

Il nuovo “dot plot” diffuso con le previsioni aggiornate del FOMC riflette un disaccordo interno tra i decisori della Fed. La media dei progetti conferma complessivamente lo scenario di circa tre tagli in totale per il 2025, ma dietro questo valore medio si nascondono visioni molto divergenti.


Nove partecipanti alle votazioni prevedono una serie di tre tagli da 25 punti complessivi quest’anno, sei prevedono un solo taglio di 25 punti, altri due prevedono due tagli, mentre un singolo membro (probabilmente Stephen Miran) indica addirittura un percorso di sei tagli (150 punti in totale). Un altro membro favorevole non ha previsto riduzioni, evidenziando come, da un punto di vista individuale, la Fed sia in disaccordo: alcuni vedono l’azzeramento dei rischi occupazionali come elemento prioritario e premono per un ritmo più rapido di allentamento, altri sono molto più cauti.


Nel corso della conferenza stampa Powell ha ribadito che la Fed manterrà un orientamento pragmatico e data-driven. Ha sottolineato che “non c’era alcun ampio consenso a favore di un taglio di mezzo punto” e che le decisioni verranno prese valutando costantemente i dati economici in arrivo. Il presidente ha messo in luce la complessità situazionale: l’inflazione, pur in moderazione, è ancora lontana dall’obiettivo, mentre il mercato del lavoro mostra segnali di rallentamento, con disoccupazione in leggero aumento soprattutto tra le fasce più deboli. Powell ha quindi affermato che la Fed continuerà a guardare il futuro tenendo ben presenti sia i rischi inflazionistici sia quelli occupazionali. In sintesi, ogni futura decisione sarà condizionata dai dati macro e dal contesto economico che verrà aggiornato.


Mercati azionari e stagionalità di settembre

Wall Street ha reagito positivamente alla notizia: i principali indici hanno subito mostrato guadagni modesti, con il Nasdaq e l’S&P 500 in rialzo, confortati anche dalle prospettive di ulteriori riduzioni dei tassi nei prossimi meeting. Questo conferma le aspettative diffuse che il tono accomodante della Fed possa sostenere ancora il rally, in particolare nei settori più sensibili ai tassi bassi.


C’è però un elemento di cautela da non sottovalutare: storicamente, il mese di settembre è spesso il peggiore dell’anno per gli indici statunitensi. In media, da decenni settembre registra il rendimento più basso per l’S&P 500, complice probabilmente di fattori stagionali come prese di profitto dopo l’estate e ribilanciamenti di portafoglio.

Nel 2025, tuttavia, le consuete correzioni di settembre finora non si sono concretizzate anzi, i mercati hanno continuato a salire in vista del taglio Fed.

Se questa anomalia statistica dovesse persistere, significa che molti investitori che erano rimasti fuori dal mercato in attesa di una classica correzione, potrebbero non vedere più un punto di ingresso scontato. Di conseguenza, per non rimanere scoperte dovranno aggregarsi al rialzo già in corso, alimentando ulteriormente la domanda. In altre parole, l’inevitabile ingresso “in corsa” di questi operatori potrebbe fungere da carburante per un proseguimento del rally, esattamente l'opposto di del panic sell atteso prima del FOMC. A favore di questa tesi basta osservare il COT Report, in particolare la categoria degli Asset Manager. Storicamente, ogni volta che l’indice S&P 500 ha segnato nuovi massimi storici, ciò è avvenuto con il supporto delle posizioni di questa categoria; al contrario, oggi questo sostegno non è presente. Un altro elemento interessante da notare è che, nel periodo compreso tra settembre e novembre, le loro posizioni tendono ad aumentare proprio come se aspettano la correzione dell'indice.

Ed è proprio per questo motivo che presumo potrebbe verificarsi un’induzione ancora più forte al rialzo: non essendosi ancora posizionati e non essendoci stato finora un vero ritracciamento, potrebbero essere costretti ad entrare a giochi già in corso, alimentando ulteriormente la spinta long. Lo scenario tecnico sul breve termine appare quindi rialzista, finché i dati economici e monetari non indicheranno il contrario.

In questo contesto di rialzo azionario e tassi in calo, è probabile vedere anche un ulteriore indebolimento del dollaro USA. Con la prospettiva di tagli Fed graduali e l’Eurozona sostanzialmente ferma con i tassi fermi, i differenziali di rendimento favoriscono la valuta unica. Diversi report di banche internazionali stimano che il cambio EUR/USD possa salire ancora infatti quote attorno a 1,20–1,22 entro la fine del 2025 non appaiono più eccezionali. Questo scenario si basa anche sulla debolezza strutturale del dollaro, dovuta all’incertezza politica americana e al più basso appeal degli asset USA senza il sostegno di tassi più alti. Se questi livelli dovessero concretizzarsi, lo scenario sarebbe quello di un’euro rafforzato nei confronti del dollaro, con possibili ricadute positive per i titoli europei e di pressione a rialzo sui prezzi delle materie prime quotate in dollari.

Differenziali tassi interesse US_EU

In conclusione, l’azione Fed di ieri è stata presa con cautela ma conferma l’orientamento verso un allentamento graduale. Per ora i mercati accolgono con fiducia il rialzo degli indici in assenza di shock, ma sarà fondamentale monitorare se l’impatto di fattori stagionali o dati economici imprevisti modificherà la traiettoria.

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